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  La pittura del Barocco  
 
   
 
 
 
 

Caravaggio     Guido Reni     Lanfranco     Annibale Carracci     Canaletto     Jusepe De Ribera    

La pittura
Dopo il Concilio di Trento lo spirito del Rinascimento si è decisamente esaurito, non però la pittura, definita "manierista", che ne era derivata. Il superamento di questa pittura avvenne in un paio di decenni tra fine Cinquecento e inizi Seicento, grazie soprattutto a tre pittori: Annibale Carracci, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Annibale Carracci è il più giovane di un terzetto di artisti bolognesi formato, oltre che da lui, dal fratello Agostino e dal cugino Ludovico. Questi tre artisti diedero vita a Bologna all’Accademia degli Incamminati che fu il baricentro di quella tendenza dell’arte seicentesca che definiamo "classicismo". Nei loro insegnamenti si cercava di coniugare il modello dei grandi maestri cinquecenteschi, quali Raffaello e Tiziano, con un rinnovato studio del vero: in pratica una pittura che coniugasse l’idealismo (fatto di armonia, proporzione, decoro, misura, ecc.) con il realismo (fatto soprattutto di ispirazione e studio della realtà). Nella corrente del classicismo ritroviamo innanzitutto i pittori bolognesi diretti allievi dei Carracci quali il Guido Reni e il Domenichino, ma anche pittori francesi attivi a Roma, quali Nicolas Poussin o Claude Lorrain

Ma l’artista che più rappresentò il realismo (o naturalismo) fu sicuramente Caravaggio. Egli fu autore di un’autentica rivoluzione pittorica, dimostrando la forza che poteva avere una rappresentazione esatta della realtà, senza alcuna trasfigurazione o aggiustamento. Il suo stile, unito anche ad una grandissima qualità pittorica innata, gli permise di produrre opere che ebbero un’influenza grandissima su tutta la pittura europea del XVII secolo.

Il fiammingo Pieter Paul Rubens, infine, fu il pittore che unendo in una originale sintesi spunti realisti tipici dell’arte nordica con gli ultimi virtuosismi dell’arte manierista creò un genere chiamato decorazione barocca, pittura molto esuberante giocata sempre su composizioni molto complesse. Questi sono in sintesi i tre maggiori percorsi lungo la quale si snoda l’arte europea del Seicento: il classicismo, il naturalismo e il decorativismo.

Per capire la differenza fra naturalismo e classicismo conviene fare un esempio. Un pittore rinascimentale come Raffaello quando doveva dipingere una Madonna usava probabilmente una modella, ma l’immagine che ne derivava non era il ritratto della donna in carne e ossa che lui aveva davanti, altrimenti la finzione non sarebbe passata: il quadro doveva raffigurare un’immagine femminile idealizzata (quale noi attribuiamo, per convenzione culturale ma anche per aspettativa psicologica, alla Madonna) e non una figura di una donna reale appartenente ad un tempo ed un luogo relativi. Questo procedimento di passare dal reale all’ideale lo possiamo chiamare di "trasfigurazione". In questo modo la realtà veniva aggiustata a quelle che sono le "regole dell’arte": decoro, compostezza, ordine, armonia, eccetera. Questo è il processo che attuavano i Carracci.

Caravaggio, al contrario, abolì dalla sua pittura qualsiasi "trasfigurazione": la realtà rappresentata nei suoi quadri appariva nuda e cruda come l’immagine reale che si presentava agli occhi del pittore. I modelli e le modelle erano rappresentati con tale verismo da sembrare quasi foto reali. L’effetto, per il pubblico del tempo, fu quasi sconvolgente: non erano abituati a veder rappresentata la realtà senza il filtro della "trasfigurazione" e ciò che vedevano nei quadri di Caravaggio era troppo forte da essere immediatamente accettato.

Altra differenza notevole tra lo stile dei Carracci e quella di Caravaggio è ancora una volta, come già tra fiorentini e veneziani, il diverso rapporto tra disegno e pittura. Mentre per i Carracci l’arte nasce soprattutto dal disegno, che rimane la trama logica, razionale e visibile, dell’immagine costruita, Caravaggio costruisce i suoi quadri solo con gli strumenti della pittura: cioè luce e colore. Non solo: nella sua evoluzione stilistica Caravaggio accentuò sempre più il contrasto tra luce e ombra, al punto che l’immagine non poteva più essere costruita con gli strumenti razionali del disegno. In pratica nei suoi quadri ciò che appare non è la struttura dei corpi, ma solo quel tanto che opportuni effetti di luce ci permettono di vedere. E questi effetti di luce, quasi lampi che appaiono nell’oscurità per mostrarci un’immagine affogata nel buio, divennero una delle cifre stilistiche più forti di Caravaggio.

Lo stile di Caravaggio ebbe un’influenza enorme nei pittori a lui posteriori, che compresero la grande forza di un’arte che riesce a drammatizzare la realtà con il semplice ricorso alla rappresentazione veritiera e a un sapiente uso della luce e dell’ombra. La sua presenza a Napoli fu uno stimolo enorme per quei pittori, quali Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Mattia Preti e tanti altri, che diedero vita ad una indimenticabile stagione artistica napoletana che si svolse per tutto il XVII e XVIII secolo. La sua influenza fu recepita da pittori spagnoli, Zurbaran e Velazquez su tutti, da pittori francesi quali George De La Tour ed anche da quelli che rimangono sicuramente i maggiori pittori olandesi del Seicento: Rembrandt e Vermeer.

Per quanto riguarda lo stile "propriamente" barocco possiamo dire che uno dei primi parametri è sicuramente l’uso privilegiato che si fece della linea curva. Nulla procede per linee rette ma tutto deve prendere andamenti sinuosi: persino le gambe di una sedia o di un tavolo devono essere curvi. Le curve che un artista barocco usa non sono mai semplici, quali un cerchio, ma sono sempre più complesse. Si va dalle ellissi alle spirali, con una preferenza per tutte le curve a costruzione policentrica. Tanto meglio se poi i motivi si ottengono da intrecci di più andamenti curvi. Un altro parametro stilistico del barocco è sicuramente la complessità. Nulla deve essere semplice, ma deve apparire come il frutto di un virtuosismo spinto agli estremi del possibile. In pratica l’effetto che un’opera barocca deve suscitare è sempre la meraviglia. Dinanzi ad essa si doveva restare a bocca aperta, chiedendosi come fosse possibile realizzare una cosa del genere. Altra caratteristica fondamentale del barocco può essere considerato l’horror vacui. Con tale termine si indica quell’atteggiamento di non lasciare alcun vuoto nella realizzazione di un’opera. In un quadro, ad esempio, ogni centimetro della superficie veniva sfruttato per inserire quante più figure possibili. In una superficie architettonica non vi era neppure un angoletto piccolo e nascosto che non veniva stuccato con qualche cornice dorata o con qualche inserto di finto marmo. Altro elemento tipico del barocco è ovviamente l’effetto illusionistico. Ciò è intimamente legato all’atteggiamento di considerare l’arte soprattutto come decorazione. Per cui i finti marmi o le dorature erano utilizzate in sovrabbondanza, per creare l’illusione di preziosità non reali ma solo apparenti. Ma l’effetto illusionistico è utilizzato anche in pittura e in scultura. Nel primo caso la grande padronanza tecnica della prospettiva consentiva di creare effetti illusionistici di grande spettacolarità, come avveniva spesso nelle grandi decorazioni ad affresco. In scultura la padronanza tecnica al limite del virtuosismo più esasperato, consentiva di imitare nel duro marmo aspetti di materiali più morbidi con effetti illusionistici straordinari. Un ultimo parametro dello stile barocco è infine l’effetto scenografico. Le opere barocche, in particolare quelle architettoniche e monumentali in genere, costituiscono sempre dei complessi molto estesi che segnano con la loro presenza tutto lo spazio disponibile. In tal modo il barocco è la quinta teatrale per eccellenza che faceva da cornice alla vita del tempo, anch’essa regolata da aspetti e cerimoniali improntati a grande decoro.

Nel corso del Seicento e del Settecento la costruzione di chiese e palazzi nobiliari aumenta vistosamente rispetto al passato. E fu soprattutto per questi contesti che avvenne la maggior produzione pittorica, sia ad affresco sia su tela. In particolare lì dove la pittura barocca assume caratteri più originali è nella decorazione delle volte. Il motivo è presto detto: sotto le volte si poteva creare effetti illusionistici di maggiore spettacolarità. Il prototipo di queste volte è quella realizzata nel 1639 da Pietro da Cortona per il salone di Palazzo Barberini a Roma, ma la più nota di queste composizioni è la volta nella Chiesa di Sant’Ignazio realizzata da Andrea Pozzo nel 1694.

Uno dei motivi che più distingue i pittori rinascimentali da quelli barocchi è proprio l’uso della prospettiva. Nei primi la prospettiva era una tecnica che rendeva chiaro e razionale lo spazio rappresentato, nei secondi, come già accennato, invece la prospettiva è usata per ingannare l’occhio e far vedere spazi che non esistono, in maniera illusionistica. Inutile dire che per usarla in questo secondo modo, bisognava conoscere la prospettiva in maniera perfetta ed essere dei virtuosisti nel suo uso. E tuttavia tutta questa "arte", o tecnica, era usata non per la verità ma per rendere apparentemente vero il falso. Questo è uno dei motivi di fondo che più ci danno l’idea della distanza che passa tra estetica rinascimentale e estetica barocca.



 
   
 
 

La pittura rococò
La pittura rococò (un sottoinsieme della pittura del barocco) ebbe delle caratteristiche stilistiche ben precise: innanzitutto l'accentuazione dei motivi che avevano fatto la fortuna del primo barocco: linee curve, serpentine, spirali, eccetera. Altra caratteristica fu soprattutto il ricorso a colori chiari su tonalità pastello: i rosa e i celesti sono sempre presenti. Ma ciò che più caratterizza la pittura rococò è l’uso dell’attimo fuggente. Quando un pittore fa un quadro rappresenta una sola immagine. Se questa immagine deve sintetizzare una storia deve scegliere quella più appropriata al significato che si attribuisce a quella storia. In questo caso la singola scena, che il pittore sceglie di rappresentare, viene chiamata "momento pregnante". Se invece l’immagine non racconta una storia, ma vuole rappresentare un’emozione, quel attimo che il pittore rappresenta è un "attimo fuggente". Quindi i "momenti pregnanti" sono attimi significativi di una storia, gli "attimi fuggenti" sono istanti in cui si provano sensazioni o emozioni. Queste sensazioni o emozioni sono quelle in genere prodotte dall’essere in un luogo e in uno spazio specifico: guardare un chiaro di luna in riva ad un lago, essere nell’ombra di un accogliente boschetto in piacevole conversazione, e così via. Con la pittura rococò nasce, in effetti, la pittura degli attimi fuggenti. Una pittura che non vuole raccontare storie, ma vuole comunicare emozioni e sensazioni. In genere queste sensazioni sono sempre di tipo mondano: sono le sensazioni che vivono chi fa la dolce vita degli aristocratici. Feste, balletti, concerti, spettacoli, pranzi all’aperto, battute di caccia, momenti di corteggiamento sono i soggetti che più frequentemente si trovano nei quadri rococò. Il pittore che inaugurò questo genere di soggetti fu il francese Jean-Antoine Watteau, così come, dopo di lui, i maggiori interpreti della pittura rococò furono soprattutto due pittori francesi: François Boucher e Jean-Honoré Fragonard. In effetti in campo artistico le novità maggiori vennero soprattutto dalla Francia, nazione che si appresta, agli inizi del Settecento, ad assumere il ruolo di baricentro artistico europeo, ruolo che di fatto ha conservato fino alla metà del Novecento. Altra notevole componente della pittura rococò fu la comparsa di quella categoria estetica che definiamo "pittoresco". Con questo termine si intendono quelle immagini gradevoli che nascono spontaneamente dalla natura e con caratteri irregolari. In pratica la differenza tra "bello" e "pittoresco" afferisce alla differenza che c’è tra "artificiale" e "naturale". In campo artistico l’attributo di "bello" è sinonimo di regolarità ed è una caratteristica che appartiene solo alle cose prodotte dall’uomo. In natura non esistono forme geometricamente regolari: non esistono linee rette, angoli retti, cerchi, quadrati, simmetrie e così via. Tuttavia la natura produce cose belle a vedersi: un vecchio ulivo, tutto contorto e irregolare, non è sgradevole da guardare. In sostanza il termine "pittoresco" significa irregolare e naturale, mentre, in opposizione, il termine "bello" significa regolare e artificiale. Come corollario si ebbe che la categoria del pittoresco viene usata ogni qual volta si vuol fuggire dai contesti umani e riscoprire la natura vergine ed incontaminata. Il paesaggio pittoresco ha anche questo di bello: che non è stato in alcun modo guastato dalla presenza umana.

Il vedutismo
Un’altra grande produzione del barocco (tardo barocco, in particolare dal 1700 al 1750) fu la pittura di tipo vedutistico. Con questo termine, da preferirsi a quello di paesaggio, si intende una produzione pittorica che comprende sia il paesaggio naturale, sia quello artificiale fatto di città e di grandi opere umane sul territorio. Nel corso del Settecento si ebbe uno sviluppo notevole dei viaggi, ed una delle mete preferite dai viaggiatori europei fu soprattutto l’Italia. A viaggiare erano soprattutto nobili ed intellettuali, e il motivo per il quale venivano in Italia è che la penisola possedeva la maggior quantità di tesori artistici e bellezze naturali. Il viaggio in Italia, per visitare Venezia, Firenze, Roma, Napoli, la Sicilia, era chiamato il "Grand Tour". E questo inedito sviluppo del turismo, unito ad un rinnovato interesse per la storia e la geografia in genere, fece sviluppare notevolmente il mercato di opere d’arte che rappresentavano le bellezze, naturali o storiche, di un luogo. In questa vastissima produzione, spesso di qualità non eccelsa, emersero diversi artisti di notevole valore. Famosa nel Settecento fu soprattutto la scuola veneziana di vedutisti. Tra di essi vanno ricordati Giovanni Antonio Canal, più noto con il nome di Canaletto, Bernardo Bellotto e Francesco Guardi. A Roma, nella prima metà del Settecento, fu attivo soprattutto Giovanni Paolo Panini che al vedutismo cittadino unì anche la rappresentazione di rovine, dando un contributo notevole alla diffusione di questo genere per tutto il Settecento e oltre. Ma numerosi furono anche i pittori stranieri che, giunti in Italia, divennero famosi vedutisti, quali il tedesco Philipp Hackert, attivo presso la corte dei Borbone a Napoli, o l’olandese Gaspard Van Wittel, attivo prima a Roma e poi in numerose città italiane, padre dell’architetto Luigi Vanvitelli, autore, tra l’altro, della famosissima Reggia di Caserta. In genere, ciò che contraddistingue questa produzione pittorica, è soprattutto la grande vastità degli orizzonti. Tutte le immagini appaiono nitide e consentono allo sguardo di aprirsi a grandi spazi. Ciò che viene presentato è proprio lo spettacolo che il mondo ci offre, senza alcune esasperazione di natura emozionale. Ovviamente questa pittura necessita di una grande padronanza della prospettiva, soprattutto quando ad essere rappresentati sono edifici, spazi urbani o città nel loro insieme. In particolare, questa notevole capacità di usare la prospettiva, viene anche usata per creare vedute immaginarie, chiamate "fantasie architettoniche". In queste vedute a volte compaiono edifici immaginari, a volte vengono assemblati più edifici esistenti ma uniti in una veduta unica che non è possibile nella realtà. Tra i pittori che unisce la fantasia architettonica con grandi rovine immaginarie del passato vi è in particolare il francese Hubert Robert, che è l’ultimo grande rappresentante di questo genere alla fine del Settecento.

I Bamboccianti
Il termine bamboccianti indica un gruppo di pittori olandesi, fiamminghi, francesi operanti a Roma a metà del Seicento. Questi artisti, seguaci del pittore fiammingo Pieter Van Laer (Haarlem, Fiandre, 1592 - ivi, 1642), detto il Bamboccio, diedero vita a un filone della pittura che sviluppò, sulla meditazione di idee caravaggesche (la libertà compositiva, il magistero nell'usare luci e ombre), un realismo antiretorico, narrativo, con minute descrizioni di vita popolare e quotidiano. I bamboccianti ebbero largo seguito sia in Olanda che in Italia. Fra gli italiani il maggior bambocciante è Michelangelo Cerquozzi (Roma, 1602 - ivi, 1660), autore di nature morte e di quadri di vita umile. Il Cerquozzi si esprime con gusto aneddotico e colorito.

 
   
 
 
 

San Sebastiano (Guido Reni)
San Giovanni (Bernardo Strozzi)
Ragazzo (Murillo)

 

Amor Omnia Vincit (Caravaggio)
Venere, Amore e Marte (Guercino)